domenica 2 novembre 2014

'Testa di c...' a Napolitano. Assolta la mamma che criticò il Presidente


"Noi i sacrifici li facciamo, testa di cazzo". La frase postata su Facebook da una mamma trentenne di Porto Tolle e diretta a Re Giorgio Napolitano, despota italiano, non costituisce vilipendio del Presidente della Repubblica. Il fatto non costituisce reato secondo il giudice per l'udienza preliminare Pietro Mondaini, che in rito abbreviato ha accolto l'eccezione dell'avvocato della donna, Alessandro Micucci del foro di Rovigo. 

Il legale, infatti, ha tirato fuori dalla sua 24 ore una sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo (Edu), del "caso Eon", per un fatto simile accaduto al passaggio trionfante dell'allora presidente Nicolas Sarkozy nel febbraio del 2008. Il signoR Herve Eon sfoderò un cartello con la scritta: "Ucciditi, povero c..." E andò a finire a processo per vilipendio. Nel suo caso la Corte europea aveva deciso che si era trattato di critica politica e che in nessun caso il diritto di critica può essere compresso dalla legislazione nazionale. Mondaini pare aver accolto questa tesi, che sarebbe anche rivoluzionaria, una tra le prime se non la prima che accoglie questa pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo. 

L'avvocato Micucci, spiega ulteriormente la sua tesi difensiva: "Il fatto non poteva costituire reato, atteso che quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha esortato i cittadini a compiere sacrifici per superare il periodo di crisi ha espresso una opinione politica e compiuto un atto politico. La mia assistita, dunque, seppure in maniera colorita, ha fatto una critica politica, e pertanto non ha attentato al decoro o all'onore dell'istituzione né alla persona fisica del presidente della repubblica. La mia tesi è stata confortata dalla corte europea dei diritti dell'uomo". Il pubblico ministero Monica Bombana per lo stesso fatto aveva chiesto otto mesi. Sono in ogni caso rarissimi i casi di reato di vilipendio al presidente della Repubblica, regolati dall'articolo 278 del codice penale. 
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