sabato 8 novembre 2014

QUEL BUCO NERO CHIAMATO LUSSEMBURGO

Quel buco nero chiamato Lussemburgo - svelati gli accordi segreti tra il granducato, a lungo guidato da Juncker, e 300 aziende alla ricerca di un fisco soft t - nella lista anche 31 società italiane, tra cui Finmeccanica
Da Amazon a Ikea, da Deutsche Bank a Procter & Gamble, da Pepsi a Gazprom, migliaia di società hanno trovato rifugio all’ombra del fisco leggero del Granducato: un sistema cresciuto anche grazie al lungo governo di Jean-Claude Juncker, premier per 18 anni e ora alla guida della Commissione europea.


jean claude junckerJEAN CLAUDE JUNCKER
Svelati per la prima volta gli accordi segreti tra governo del Lussemburgo e trecento aziende. Da Amazon a Ikea, da Deutsche Bank a Procter & Gamble, da Pepsi a Gazprom: operazioni per spostare flussi finanziari enormi pagando tasse minime. Nei dossier anche i patti fiscali di 31 società italiane o operanti nel nostro paese

C’è un buco nero nel cuore dell’Europa: è il Lussemburgo, dove convergono flussi finanziari enormi in cerca di tasse minime. Un'emorragia di fondi, perfettamente legale, che sottrae risorse dall'economia del resto dell'Ue.


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Dalle multinazionali alle banche, dalle imprese famigliari ai grandi marchi della moda, migliaia di società hanno trovato rifugio all’ombra del fisco leggero del Granducato: un sistema cresciuto anche grazie al lungo governo di Jean-Claude Juncker, premier per 18 anni e ora alla guida della Commissione europea. “L'Espresso” nel numero in edicola domani svela i contenuti degli accordi fiscali segreti tra le autorità lussemburghesi e trecento società di tutto il mondo, tra cui 31 italiane o operanti nel nostro paese. Grazie a queste intese, il peso delle tasse è stato ridotto in misura sostanziale, se non azzerato.
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Si tratta di 28 mila pagine di documenti raccolti da un network giornalistico americano, The International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), che viene pubblicato in contemporanea da 26 testate di diversi Paesi.

Nei file troviamo alcuni dei marchi più conosciuti del business mondiale: da Amazon a Ikea, da Deutsche Bank a Procter & Gamble, da Pepsi a Gazprom. I più grandi gruppi sono di casa in Lussemburgo, dove si mettono a punto piani per cospicui finanziamenti. La palma va a Procter & Gamble: quasi 80 miliardi di dollari a suon di certificati che coinvolgono anche la filiale italiana di Roma.

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Segue l’americana Abbott Laboratories: oltre 50 miliardi di dollari. E, ancora, tra i tanti protagonisti, Bayerische Landesbank: 500 milioni di euro; Carlyle Group: 240 milioni di sterline e 150 milioni di dollari; Eon Group: 2,55 miliardi di euro; Gazprom: 4 miliardi di dollari; Glaxo Smith Kline: 6,25 miliardi di sterline; Heinz: 5,7 miliardi di dollari; il fondo Permira, che controlla Hugo Boss insieme ad alcuni membri della famiglia Marzotto: 284 milioni di sterline.

Numerose le operazioni lussemburghesi relative ad attività in Italia esaminate da “l'Espresso”. Il colosso immobiliare Hines con i capitali raccolti in Lussemburgo ha ridisegnato, tra grattacieli, giardini e nuove strade, una fetta importante del centro di Milano, tra i quartieri Isola, Garibaldi, Porta Nuova e Varesine. Hines è guidata in Italia da Manfredi Catella, a lungo finanziato da Salvatore Ligresti, poi uscito di scena causa dissesto.
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Ma nelle carte analizzate insieme a banche come Intesa San Paolo, Unicredit, Marche e Sella o aziende di Stato come Finmeccanica, compaiono anche i fondi immobiliari targati Deutsche Bank, che insieme al gruppo Pirelli di Marco Tronchetti Provera si sono messi in affari con la Regione Sicilia dell’allora governatore Salvatore Cuffaro. E c'è persino un accordo fiscale concluso da Finmeccanica: anche la società a controllo statale ha scelto la strada del Granducato per ridurre l'impatto delle tasse.
(Fonte)

L'inchiesta integrale su l'Espresso in edicola venerdì 7 novembre e, da oggi, su Espresso+ (www.lespresso.it)
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