venerdì 8 novembre 2013

Scuola pubblica, le dimissioni dello Stato

Gli istituti vanno avanti sulle spalle di professori e famiglie. Sicché uno stato di emergenza perenne non è più un problema.



Questo sito vi ha raccontato prima di altri della fregatura del registro elettronico: strombazzato, ma mai partito integralmente con professori intenti a scrivere sulla carta con la beffa di doversi comprare sostituti dei registri del tempo che fu spendendo di tasca propria perché ai presidi, soprattutto ai nuovi immessi, è stato dato ordine dal Miur di non aprire in nessun caso questo capitolo di spesa.

Dunque, la novità declamata non c'è, benché le scuole siano prodighe di password anche doppie (una a genitore) per l'accesso ai registri elettronici e i professori ci rimettono del loro. Poco, si dirà... Un momento che ci arriviamo. Come da decenni ormai, i ministri fanno la dedica nel primo giorno di scuola poi, come si usa dire, buttano la chiave e chi si è visto si è visto. La scuola va avanti da sé ed è proprio questo il problema. Come? Da Gelmini a Carrozza, nei fatti, non è cambiato granché. Si dirà, un po' di educazione e rispetto non guasta, Certo, giusto, tanto da tagliare non c'è quasi più niente... Anche qua, al tempo che ci arriviamo...

Le scuole da anni non hanno fondi propri. Gli unici attivi spendibili sono i contributi volontari-obbligatori dei genitori. Sostanzialmente l'istituzione va avanti con soldi in più che le famiglie potrebbero non dare seguendo pedissequamente la legge: qualcuno lo fa, una piccola minoranza. Se lo facessero tutti, perché di una tassa occulta si tratta, le scuole non funzionerebbero. Sarebbe la paralisi, ma i politici fanno finta di non saperlo perché la scuola va avanti lo stesso. Ma anche questi soldi non basterebbero e comunque stanno già determinando discriminazioni sull'offerta formativa a seconda della latitudine in cui l'obolo viene richiesto. Chi ha dà, chi non ha non dà: quindi, se una scuola si trova in contesti difficili e di grande sofferenza sociale, con disoccupazione diffusa, il contributo delle famiglie è vicino allo zero. Ma, come detto, non sarebbero sufficienti e dove non ci sono soltanto professori e una dirigenza illuminata e consapevole del proprio ruolo sociale, naturalmente lasciati soli nell'interpretarla, fanno sì che la scuola vada avanti lo stesso anche lì, dove c'è il deserto. Non basterebbero nemmeno dove tutti i genitori pagano. Ci sono così voci di spesa, ancora una volta, sulle spalle dei professori: fotocopie, a volte anche i toner, carta, tralasciando tutto quello che si fa finta non sia costato nulla e che arriva sempre dai genitori per garantire una vita dignitosa ai figli, come cartaigienica, saponi e tanto altro.

Tutte situazioni sconosciute ai professori che pontificano sui giornali, tutti, nessuno escluso. Che tracciano linee, grafici, modelli econometrici per dire che sulla scuola si spende sempre troppo, più che negli altri Paesi europei. Non si invita mai a guardare il come, non si trova mai una parola per dire se sia giusta o no la formazione di classi in media composte da 28 alunni. Non si dice, i professoroni e anche molti commentatori (perché nessuno ci mette mai piede, ma sulla scuola vogliono parlare tutti, ma proprio tutti) puntano il dito, citano modelli immaginari e intanto pagano ai figli il salvacondotto verso l'estero. Come mai?

Ultima annotazione. Il precedente ministro (quello che aveva anche pensato di portare l'orario dei professori a 24 ore) ha lasciato in eredità un nuovo acronimo, Bes: ricadono sotto questo profilo i ragazzi con bisogni educativi speciali. Attenzione, perché l'identificazione di un Bes e il lavoro che ne consegue non è così facile e il professore da solo, e insieme agli altri della stessa classe, devono esattamente stabilire quando un Bes (ripartizione in cui entrano tutti i ragazzi con problemi) sia da mettere nel sottoinsieme Dsa o in quello della disabilità (legge 104) o anche in altre eventuali sottoripartizioni (alla faccia delle semplici e scarse 18 ore di lavoro settimanali). Perché poi, una volta ben identificato, per ogni ragazzo deve essere fatta una programmazione apposita. Le famiglie, sempre più spesso, sono restie a rendere nota una disabilità del proprio figlio, in altre parole non lo dicono, tendono a non farlo. Se i professori non ci badano, a volte succede, non avranno il sostegno o quanto meno non verrà chiesto. Alla lunga tutti i ragazzi con problemi potrebbero essere semplicemente Bes, senza sottoripartizioni. Con due risultati. Uno, in omaggio alla spending review, con il decremento degli insegnanti di sostegno fino alla loro sparizione e un calo di costi per lo Stato. Il secondo, conseguenza del primo e estremamente grave, ragazzi con difficoltà che rimarranno senza adeguate cure, senza la possibilità di formarsi nel miglior modo che gli è possibile, non avendo più professori dedicati.

Sembra disfattismo o voler essere Cassandra a tutti i costi. Ma nella scuola il pericolo fiutato è quasi un progetto realizzato. Come, ad esempio, il caso pilota della riduzione delle superiori a quattro anni. La Carrozza ne ha autorizzato uno in una paritaria del nord, ma i professori che stanno già pensando ad eventuali trasferimenti negli anni a venire, si frenano perché temono che dalla sperimentazione si passi ad altro, ai fatti concreti, ad una nuova riforma a perdere, come tutte nella scuola, con riduzione di ore in tutte le materie, tanto da ritrovarsi perdenti posto con un eventuale trasferimento. La scuola va avanti lo stesso, come si è detto. Ma non è per nulla una bella vita. Andate a vedere...
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