martedì 12 novembre 2013

«Pericolo Ogm» nel dossier della Forestale

L’inquinamento genetico provocato dal mais biotech sui campi tradizionali del Friuli Venezia Giulia arriva fino al 10%

L’inquinamento genetico provocato dalle colture Ogm di Vivaro e Mereto di Tomba nei campi limitrofi, coltivati a mais tradizionale, arriva fino al 10%. È il verdetto dell’analisi dei dati ricavati dal campionamento condotto nell’area dal Corpo forestale dello Stato. Soltanto ulteriori analisi potranno verificare se il mais modificato abbia causato danni anche agli animali: la varietà seminata, il Mon810, produce infatti una tossina mortale per un parassita del mais ma potenzialmente pericolosa anche per altri organismi. Ragion per cui i forestali hanno raccolto campioni anche negli alveari prossimi ai campi “incriminati”.
Sono i passaggi più allarmanti della relazione presentata dal capo del Corpo forestale, Cesare Patrone, nella recente audizione alla Camera. Relazione che ha poi innescato l’apertura di un’inchiesta sul caso Ogm da parte della Procura di Udine. Patrone ha spiegato così l’attività svolta in Friuli Venezia Giulia: «Abbiamo svolto nei mesi scorsi dei campionamenti nei campi seminati a Ogm e in quelli limitrofi, sia per accertare la varietà di mais geneticamente modificato coltivata, sia al fine di verificare una possibile contaminazione ambientale». Dal luglio scorso infatti il ministero per le Politiche agricole ha sancito il divieto di coltivazione del Mon810 per 18 mesi. La ragione sta nelle potenziali conseguenze negative di questa varietà di organismo: tra i rischi sottolineati da numerosi enti nazionali e internazionali il documento elenca i danni alla fauna non bersaglio, così come la possibilità di una predisposizione allo «sviluppo di parassiti secondari, potenzialmente dannosi per altre colture», come verificatosi già in Argentina e come sta avvenendo in Spagna, su colture di mais Ogm.

I forestali si sono avvalsi dell’aiuto dell’Istituto zooprofilattico delle Marche e dell’Umbria nell'analisi dei dati. È emerso che il mais coltivato in regione appartiene proprio alla varietà Mon810 e, come detto, che le coltivazioni limitrofe sono colpite da inquinamento genetico. È ancora in corso l’analisi dei dati riguardanti la fauna: «Stiamo attualmente verificando l’eventuale livello di contaminazione presente a carico dei favi degli alveari adibiti alla produzione di polline e miele situati nelle zone limitrofe ai campi Ogm e in quelli coltivati con mais convenzionale», ha detto Patrone. Inoltre non è stato possibile rintracciare la provenienza delle sementi, per cui al coltivatore è stata comminata una sanzione amministrativa di 16mila euro. A fronte di una comprovata diffusione nell’ambiente del mais Ogm, è stata poi inviata in Procura una comunicazione di notizia di reato sulla violazione di tre articoli del Codice penale. Il primo è inosservanza dei provvedimenti dell’autorità: «Per aver inosservato, coltivando mais Mon810, il provvedimento interministeriale sopra richiamato, in attesa di un'ordinanza da parte di un ente locale a tutt’oggi non avvenuta».
Con questo passaggio il capo dei Forestali ha posto l’accento, seppur velatamente, sulla tendenza delle istituzioni locali a demandare a Roma la gestione del problema. Il secondo reato segnalato è danneggiamento: «Poiché coltivando varietà di mais Mon810 si potrebbe avere un impatto sugli imenotteri parassitoidi specialisti di Ostrinia nubilalis, oltre che modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti secondari, potenzialmente dannosi per le altre colture (piante e arbusti fruttiferi, viti e boschi). Il terzo è la diffusione di una malattia delle piante o degli animali: «In quanto la coltivazione di mais Mon810 può comportare rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e, inoltre, non è esclusa la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine Cry1Ab prodotte dalla coltivazione della varietà di mais in questione».
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