domenica 30 giugno 2013

Api a rischio estinzione: in gioco il 90% del nostro cibo

Ape

Ora sappiamo esattamente cosa uccide le api: l’estinzione delle colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero farci credere le aziende chimiche. Gli scienziati conoscono il problema: sanno che le api da miele stanno morendo per via dei pesticidi in agricoltura, della siccità, della distruzione del loro habitat naturale, del riscaldamento. I biologi, spiega Rex Weyler di “Greenpeace”, hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel polline delle api, un cocktail mortale secondo Eric Mussen, apicoltore della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta, Basf, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle, come se il “mistero” fosse troppo complesso per essere decifrato. E comunque, «non hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui pesticidi: dopotutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il mondo è vantaggiosa». Come se non bastasse, l’habitat delle api selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle monocolture, contaminate dai veleni.

«Per fermare il processo di estinzione delle api, dobbiamo rivedere il nostro sistema agricolo malato e distruttivo», scrive Weyler in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, che indaga sulla scomparsa delle api. L’Apis mellifera, nativa d’Europa, Africa e Asia occidentale, sta letteralmente scomparendo, insieme all’ape mellifera orientale. Fenomeno tutt’altro che irrilevante: «Le api mellifere, sia selvatiche che domestiche, sono responsabili dell’80% dell’impollinazione del nostro pianeta», spiega lo specialista di “Greenpeace”. «Una sola colonia di api può impollinare 300 milioni di fiori ogni giorno». Un ruolo decisivo: se infatti i cereali sono principalmente impollinati dal vento, i cibi più salutari – frutta, noci e verdura – sono impollinati proprio dalle api, responsabili della sopravvivenza di qualcosa come «settanta delle 100 specie di colture alimentari dell’uomo, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale».

Tonio Borg, commissario europeo per la salute e le politiche dei consumatori, ha calcolato che le api «contribuiscono all’agricoltura europea per una cifra pari a 22 miliardi di euro (30 miliardi di dollari)». Nel mondo si stima che il valore dell’impollinazione connessa alla produzione di cibo per l’uomo, da parte delle api, superi i 265 miliardi di euro, 350 miliardi di dollari. «L’estinzione delle api è una sfida come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani e la guerra nucleare», avverte Weyler. «L’uomo difficilmente sopravvivrebbe ad un’estinzione totale delle api». Negli Usa, primo paese in cui le api hanno iniziato a scarseggiare, le perdite invernali raggiungono il 30-50% o peggio. Nel 2006 David Hackenberg, un apicoltore con 42 anni di esperienza, ha rilevato perdite del 90% tra i suoi 3.000 alveari. Lo stesso Dipartimento statunitense dell’agricoltura dimostra la scomparsa delle api: si è passati dai 6 milioni di alveari del 1947 ad appena 2,4 milioni di alveari nel 2008, una riduzione del 60%. «Il numero delle colonie di api operaie per ettaro fornisce una visione critica sulla salute delle colture». Negli Stati Uniti, tra le coltivazioni che richiedono impollinazione da api, il numero di colonie è diminuito del 90% rispetto al 1962: «Le api non fanno in tempo a sostituire le perdite invernali e subiscono la perdita del loro habitat naturale».

In Europa, Asia e Sud America il numero di perdite annuale è inferiore a quello degli Stati Unti, ma la tendenza è simile con una risposta più incisiva. La Rapobank sostiene che in Europa le perdite annuali raggiungono il 30-35% e che il numero di colonie per ettaro è diminuito del 25%. Uno studio scientifico delle autorità europee per la sicurezza alimentare mostra che tre dei pesticidi più largamente utilizzati – Clothiniadina, Imidacloprid e Thiametoxam, a base di nicotina – costituiscono un rischio elevato per le api. Un report scientifico di “Greenpeace” identifica sette principali pesticidi mortali per le api, inclusi i tre colpevoli a base di nicotina, oltre a Clorpyriphos, Cypermethrin, Deltamethrin e Fipronil. I tre “neonecotinoidi” agiscono sul sistema nervoso dell’insetto e si accumulano nelle singole api e in intere colonie, anche nel miele che usano per sfamare le larve appena nate. Le api che non muoiono immediatamente subiscono effetti sistemici sub-letali, difetti dello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento. «La scomparsa lascia scampo a poche api e quelle che sopravvivono sono deboli e devono lavorare di più per produrre miele in un habitat consumato. E’ questo – sottolinea Weyler – l’incubo che sta portando alla scomparsa delle colonie d’api».

L’Imidacloprid e il Clothianidin sono prodotti e commercializzati dalla Bayer, mentre la Thiamethoxam è fornita dalla Syngenta. Nel solo 2009 – rivela “Greenpeace” – questi tre veleni hanno raggiunto un giro d’affari di 2 miliardi di euro sul mercato mondiale. Quasi il 100% del mercato di pesticidi, piante e Ogm controllato da Syngenta, Bayer, Dow, Monsanto e DuPont. «Nel 2012, un tribunale tedesco ha condannato Syngenta per falsa testimonianza, per aver nascosto il report prodotto dalla multinazionale stessa che spiegava come il granturco geneticamente modificato avesse causato la morte del bestiame». Negli Usa, l’azienda ha sborsato 105 milioni di dollari per una causa collettiva per aver inquinato l’acqua potabile di oltre 50 milioni di cittadini con il suo pesticida Atrazine.

«Oggi – accusa Weyler – queste inquinanti aziende finanziano campagne da milioni e milioni di euro per negare le loro responsabilità in relazione alla scomparsa delle colonie d’api». Mentre la Commissione Europea ha proibito l’utilizzo dei “neonicotinoidi” per due anni e un divieto più lungo su altri pesticidi – intervallo che gli scienziati utilizzeranno per favorire il recupero delle api sul lungo termine – gli Stati Uniti tergiversano e intanto sostengono le aziende che producono e commercializzano i veleni mortali. Lo stesso Obama ha appena firmato il famigerato “Monsanto Protection Act“, scritto dai lobbisti della multinazionale, grazie al quale le compagnie biotecnologiche ottengono l’immunità nelle corti federali degli Stati Uniti per i danni causati alle persone e all’ambiente dai loro interessi commerciali.

Eppure, sostiene Weyler, le soluzioni esistono: a salvare le api basterebbe il buonsenso. Lo dicono gli scienziati, l’Europa e la stessa “Greenpeace”, nel rapporto “Bees in Decline”. Primo: proibire i sette pesticidi più pericolosi. Poi: proteggere la salute degli impollinatori preservando l’ambiente in cui vivono. E infine: ripristinare l’agricoltura biologica, che si sta rivelando la nuova tendenza verso il futuro e si stima che porterà ad una stabilizzazione della produzione di alimenti per l’uomo e alla protezione delle api e del loro habitat. Il Bhutan è il primo paese al mondo ad avere una politica agricola biologica al 100%. Il Messico ha proibito il granturco geneticamente modificato per proteggere le specie native. Lo scorso gennaio otto paesi europei hanno proibito le colture Ogm e l’Ungheria ha bruciato più di mille acri di granturco contaminato da varietà manipolate. In India, negli ultimi due anni, Vandana Shiva ha avviato, con un gruppo di piccoli agricoltori, una “resistenza biologica” contro l’agricoltura intensiva.

«L’agricoltura ecologica, o biologica, non è sicuramente una novità: è la tecnica agricola più utilizzata nella storia», ricorda Weyler. «Le colture biologiche resistono ai danni provocati dagli insetti, evitando le grandi monocolture e preservando la biodiversità». Inoltre, l’agricoltura “verde” ristabilisce i nutrimenti del terreno con la concimazione, evitando l’erosione del suolo dovuta al vento e al sole, senza ovviamente ricorrere all’impiego di pesticidi e fertilizzanti chimici. «Ripopolando e rinforzando le colonie d’api – dice “Greenpeace” – l’agricoltura biologica favorisce l’impollinazione, che a sua volta propizia il rendimento agricolo». E’ semplice: l’agricoltura “bio” sfrutta i servizi naturali dell’ecosistema, la filtrazione dell’acqua, l’impollinazione, la produzione di ossigeno e il controllo dei parassiti. «I coltivatori biologici hanno richiesto un miglior sistema di ricerca e sostegno da parte delle industrie, dei governi, dei coltivatori e del pubblico, per poter sviluppare tecniche di coltura biologica, migliorare la produzione e mantenere sano l’ecosistema». La “rivoluzione agricola” promuoverebbe diete equilibrate nel mondo e supporterebbe le colture ad uso umano, evitando l’utilizzo di terreni per i pascoli e i biocombustibili.

«La questione delle api – conclude Weyler – è un avvertimento da parte dell’ecosistema». Gli oppositori delle grandi aziende si aggrappano alla presunta libertà di consumo, puntando solo al profitto di pochi, «ma l’accumulo di denaro non ci aiuterà contro l’estinzione, non riporterà i terreni perduti, né curerà le colonie di api del mondo». Secondo l’attivista di “Greenpeace”, «l’umanità subirà severe punizioni se non rimedia ai propri errori: l’equilibrio dei sistemi che regolano la Terra è delicato e potrebbe raggiungere il punto di non ritorno e collassare». Le api, nel loro piccolo, lavorano per un tornaconto modesto e marginale rispetto all’energia che bruciano per tenere in piedi l’agricoltura mondiale. Rachel Carson, ricorda Weyler, aveva predetto questi problemi mezzo secolo fa: la scomparsa delle colonie d’api è pericolosa quanto il riscaldamento globale e la distruzione delle foreste. Anche a noi saremo a rischio di estinzione: salvare le api significa salvare il pianeta.
(Fonte)



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