giovedì 2 maggio 2013

La finta abolizione che inguaia i Comuni



Signori, si ricambia. Dopo gli annunci di Enrico Letta, pare che l’imposta sugli immobili verrà modificata (per ora non è stata affatto abolita). E per la quarta volta in due anni bisognerà rifare tutti i conti su quel che spetta ai comuni. Risultato? Inevitabili tensioni tra Tesoro e enti locali e i soliti problemi di chiusura dei bilanci dei municipi. L’Imu era stata inventata dal governo Berlusconi nel marzo 2011 nell’ambito del federalismo fiscale: avrebbe sostituito la vecchia Ici nel 2014. A novembre di quell’anno, però, il nuovo esecutivo di Mario Monti ne anticipò la nascita al 2012 estendendola alla prima casa, inglobando l’Irpef fondiaria e aumentando le rendite catastali. I tecnici, per di più, destinarono una bella fetta del gettito – 23,7 miliardi in tutto, 4 dalle abitazioni principali – allo Stato centrale. I Comuni si tenevano i soldi dell’Ici più una quota sulla prima casa e gli eventuali aumenti discrezionali.

OVVIAMENTE non era un regalo: tanti soldi arrivavano in più dall’Imu, tanti erano i tagli che il governo apportava ai trasferimenti. Inizia qui la guerra tra Anci e Tesoro: secondo i sindaci, infatti, a Roma hanno sottostimato il gettito della vecchia Ici di almeno un miliardo di euro rubandolo, dunque, ai comuni. A dicembre, infine, Monti cede alle pressioni del Parlamento e decide che l’Imu 2013 andrà tutta ai Comuni, con l’ec – cezione di opifici, alberghi, fabbricati commerciali etc: con questa novità però – calcolando anche il miliardo della nuova Tares sui servizi indivisibili – lo Stato azzerava i suoi finanziamenti ai comuni. ORA, PERÒ, si cambierà ancora e, se si abolisce l’Imu sulla prima casa, bisognerà tornare ai trasferimenti da Roma e all’inevitabile trattativa sul gettito “che sarebbe stato”. “Questa è la cosa drammatica – spiega Alberto Zanardi, professore di Scienza delle Finanze a Bologna – La dialettica tra erario e comuni viene moltiplicata perché ogni anno cambiamo l’imposta e bisogna stabilire da capo quel che sarebbe stato il gettito”. Togliendo l’Imu sulla prima casa bisognerà trovare una cifra compresa tra i 3,3 e i 4 miliardi. É il primo, enorme problema: circa il 25 per cento dei Comuni, infatti, aveva aumentato l’ali – quota sull’abitazione principale ricavandone un extragettito, altri avevano intenzione di farlo quest’anno (Napoli e Bologna, ad esempio), tutti avevano già inglobato quelle maggiori tasse nel bilancio di previsione per il 2013. L’inghippo? I trasferimenti statali saranno tarati sull’aliquota base del 4 per mille – senza aumenti – per evitare che chi ha faticato per tenere basse le tasse venga alla fine penalizzato. Spiega il primo cittadino di Bolzano Luigi Spagnolli: “Il presidente Letta ha annunciato che non si pagherà l’Imu sulla prima casa: dovranno però dirci come e dove prendere quei soldi già messi a bilancio”. Discorso che riguarda anche la Tares, altra imposta comunale, se si deciderà di rimandarla all’anno prossimo. “In questo stato di incertezza – dice il vicesindaco di Genova Stefano Bernini – non riusciremo ad avere un bilancio: senza certezza di entrate, i Comuni saranno costretti ad andare avanti a dodicesimi (di mese in mese, ndr) con il rischio di spendere di più”. Non solo: i sindaci – se i trasferimenti statali fossero rallentati come è accaduto negli ultimi anni – potrebbero trovarsi ad avere pure problemi di liquidità. “Effettiva – mente c’è un problema e lo affronteremo”, dice il neoministro Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia. NON È UNA MERA faccenda contabile. Nei bilanci dei municipi ci sono le strade, il verde, i rifiuti, il welfare di prossimità, gli asili e altre cosette: niente soldi, niente servizi. Ammesso e non concesso che alla fine Enrico Letta trovi coperture solide, c’è altro che va infine sottolineato: come spiega la tabella dell’Agenzia del Territorio che pubblichiamo, abolire tout court l’Imu sulla prima casa avrebbe effetti regressivi abbastanza evidenti. In italiano significa che favorirebbe i più ricchi, cioè chi ha case più costose, assai di più rispetto a chi possiede abitazioni modeste o normali.
(Fonte)
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