venerdì 8 marzo 2013

Lo sapevate che i cinghiali vanno a bere nei fiumi?

I cinghiali e le scorie nucleari stivate a Saluggia?


 Cinghiali radioattivi in Valsesia. È giallo sul “cesio 137”

Si chiama «cesio 137» ed è il nome di un incubo che riporta al 1986, l’anno di Cernobil. Un isotopo radioattivo. Nucleare. Dista migliaia di chilometri la Valsesia, provincia di Vercelli, terra all’ombra del monte Rosa, eppure hanno trovato tracce di questa sostanza nella lingua e nel diaframma di 27 cinghiali del comprensorio alpino abbattuti dai cacciatori tra il 2012 e il 2013. Tracce così consistenti da costringere il ministro della Salute, Renato Balduzzi, a convocare in fretta e furia i carabinieri del Nas e del Noe. E’ stata superata fino a dieci volte la soglia prevista dai regolamenti in caso di incidente nucleare. Dopo la prima riunione urgente del coordinamento, a Roma, prevista per questa mattina, partirà alla volta delle montagne vercellesi un laboratorio mobile della sezione inquinamento da sostanze radioattive, il nucleo specializzato che fa parte del reparto operativo Noe. Saranno sentiti i cacciatori del comprensorio, sarà tracciata una mappa per ricostruire l’itinerario seguito dagli ungulati e individuare l’area esatta in cui sarebbero venuti in contatto con il terreno. Già, perché come fanno notare gli esperti, è lì che bisogna cercare. La terra. L’erba. Il fantasma di Cernobil, se è da lì che parte tutto, deve aver lasciato tracce del proprio passaggio dove hanno pascolato questi animali. 

 La scoperta, che per molti è già sconvolgente, è nata quasi per caso. Da un esame di routine dei tecnici del servizio veterinario regionale. I campioni, come sempre accade dopo le battuta di caccia, erano stati prelevati per essere sottoposti a un’indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce per lo più suini e cinghiali. Una prassi, appunto. Poi, come sottolineano dal ministero della Salute, «gli stessi campioni sono stati sottoposti a un test di screening per la ricerca del radionuclide cesio 137, così come previsti da una raccomandazione della Commissione europea». I risultati hanno dell’incredibile: in un numero consistente di campioni (non si conosce ancora il numero esatto) il livello di cesio 137 è da record. Arriva fino a 5.621 Becquerel per Kilo quando il livello di guardia è 600 Bq/Kg. Ne sono stati inviati dieci campioni su ventisette al Centro nazionale di Foggia, che si occupa della ricerca della radioattività nel settore zootecnico veterinario.  

Tanto basta perché il ministero convochi i carabinieri con la direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione. Sono loro che dovranno svelare il mistero dei cinghiali radioattivi della Valsesia. La responsabile dell’istituto di Radioprotezione dell’Enea, Elena Fantuzzi, ha un’ipotesi: «Il cesio 137 è prodotto dalla fissione nucleare. Viene rilasciato quindi da siti nucleari. Consideriamo Cernobil ma anche i siti nucleari della zona, pure smantellati. Anche se a livello nazionale ci sono controlli costanti e i valori non sono mai stati preoccupanti». Pure secondo Legambiente «non può essere altro che la ricaduta delle emissioni della centrale di Cernobil. Anche se i livelli riscontrati – sottolinea il presidente della sezione Piemonte e Valle d’Aosta, Gian Piero Godio – mi sembrano inverosimili».
(tratto da: fonte)

 Ma lo ricordate che..........

Alluvione, ore di paura ai depositi nucleari piemontesi, ma il pericolo è scampato

Il ricordo delle inondazioni passate, in particolare quella del 2000 in cui si sfiorò l’incidente atomico, si fa ancora sentire. In provincia di Vercelli sono stipate il 50 per cento delle scorie italiane.
 L’emergenza pioggia non ha solo tenuto col fiato sospeso i cittadini di Torino e Alessandria, allarmati per le piene del Po e del Tanaro, ma soprattutto i piemontesi residenti in provincia di Vercelli, costretti a vivere di fianco ai depositi (ed ex centrali) nucleari di Trino e Saluggia.
Gli esperti del centro operativo della Protezione civile regionale e dell’Arpa garantiscono che, nonostante il maltempo, “non c’è stato nessun pericolo” ai siti atomici in questione. Se da una parte il deposito di Bosco Marengo (Al) è distante dai corsi d’acqua, dall’altra l’ex centrale di Trino, vicino al Po, e i depositi di Saluggia, circondati da Dora Baltea e i canali Fanali e Cavour, non sono stati toccati. “Non c’è stata nessuna esondazione del Po e della Dora Baltea”, affermano i tecnici che rassicurano: “Gli impianti sono stati oggetto di particolare attenzione e monitoraggio continuo”.

Domenica si era diffuso il timore per il livello Po a Trino, dove il fiume ha solo ricoperto le golene. “C’è sempre un po’ di paura”, dice Gianpiero Godio, responsabile del settore energia per Legambiente in Piemonte e membro “laico” della commissione Ambiente nel Comune di Saluggia. Il ricordo delle alluvioni passate, in particolar modo quella del 2000 in cui si sfiorò l’incidente nucleare, si fa ancora sentire.

Abbiamo avuto delle grosse esondazioni nel 1993, nel 1994 e nel 2000 – racconta – In soli sette anni ci sono state per tre volte alluvioni considerate come eventi catastrofici molto rari”. In questi giorni però la piena era più debole: “La Dora Baltea si è ingrossata, ma in maniera minore. La portata era di 800 metri cubi al secondo ed è passata via, mentre in passato ha raggiunto i 2000 o i 3000 metri cubi. Certo, a sapere che in quei depositi c’è il 50 per cento delle scorie nucleari italiane non si sta molto tranquilli”.

Per queste ragioni i tecnici dell’Agenzia regionale per l’ambiente, incaricati del monitoraggio “radiologico ionizzante” e cioè del controllo delle radiazioni, hanno effettuato dei sopralluoghi nei siti di Saluggia martedì mattina. “Non c’è stato nessun problema in nessuno dei tre siti in Piemonte perché non ci sono state esondazioni – racconta Laura Porzio, una degli esperti – Noi siamo entrati nell’impianto del deposito ‘Sorin-Avogadro’, il più colpito in passato perché vicino al canale Farini”. Questa struttura, una volta del gruppo Fiat, è un complesso diviso in due parti: una, quella della Sorin, dove si preparavano prodotti farmaceutici con radioisotopi, è destinata a deposito di rifiuti radioattivi solidi e ha una nuova rimessa, più sicura, ultimata un paio di anni fa.

Nella seconda zona, Avogadro, “c’è ancora la piscina, che era quella del reattore e ora funziona come deposito del combustibile nucleare irraggiato”, spiega Porzio. Per Godio è un’area rischiosa: “Sta a 700-800 metri dal fiume e non ha alcuna difesa”. Come ricorda l’esperta dell’Arpa: “Nel 2000 sono stati allagati solo i locali ausiliari e non l’isola nucleare, però il sito Sorin-Avogadro non ha le protezioni del sito Eurex-So.g.i.n.”.

Questa è l’area che desta più preoccupazioni, ma anche dove sono stati apportati dei miglioramenti. Si tratta di un ex centro ricerche dell’Enea passato ai privati di So.g.i.n: “È il primo impianto che la Dora Baltea incontra quando esonda e allaga – dice Porzio -. Nel 2000 abbiamo rischiato che il fiume entrasse nel sito. Nel 2002 è stata terminata la costruzione di un muro di difesa idraulica alto cinque metri e profondo quindici. Prima aveva una piscina con il combustibile irraggiato, ma dopo i rischi passati è stato tutto trasferito all’estero e la piscina è stata svuotata”. La soluzione del muro di cinta non convince il rappresentante di Legambiente: “Eurex è attaccato al fiume e l’impianto viene ugualmente alluvionato perché per il principio dei vasi comunicanti l’acqua sale dalle profondità”.
(tratto da: Fonte)

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