mercoledì 6 marzo 2013

Il gas libico e l’infinito braccio di ferro con Mosca

È assodato che la situazione in Libia si sta facendo più difficile di settimana in settimana, e che la chiusura delle forniture per il gasdotto Greenstream da parte di Eni è stata dovuta principalmente a questioni di sicurezza. C’è da credere alla versione di Eni: a parte le dichiarazioni stesse dell’azienda, è chiaro che alla fine di un conflitto civile le varie tribù cerchino di accaparrarsi le rendite che possono. È successo con i diamanti del Congo, con il petrolio dell’Angola, con il gas della provincia di Aceh, in Indonesia. Sta succedendo anche nell’area di Mellitah in Libia. Due milizie hanno litigato per stabilire chi dovesse “proteggere” l’impianto Eni, cercando di farsi assegnare un qualche tipo di assegno mensile dal governo; probabilmente dall’azienda petrolifera.
L’interruzione è durata poco: dopo la chiusura decisa sabato 2 marzo, già la mattina successiva da Tripoli il viceministro per la Difesa Khalid Sharif faceva sapere che l’esercito era stato incaricato della protezione, con buona pace delle due avide milizie. Insieme all’azienda nazionale libica del petrolio, Eni a Mellitah gestisce il compressore che convoglia il gas in Greenstream, approvvigionandosi da tre campi principali in territorio libico on- e off-shore (Bahr Essalam, Bouri e Wafa). Lo stop è stato una minaccia fin troppo credibile per il governo di Tripoli, in quanto la pipeline per l’Italia è di diametro medio-grande (otto miliardi di metri cubi l’anno), e rappresenta una fonte di reddito irrinunciabile per i libici in bancarotta. La stessa installazione di Mellitah gestisce anche alcune esportazioni di petrolio, trattando circa 100.000 barili al giorno prodotti dal pozzo di El Feel.
Il governo è intervenuto tempestivamente, temendo di perdere rendite preziosissime in un periodo delicato come questo. Per Eni, il danno è stato più limitato. Prima di tutto, ha ottenuto che la Libia schierasse l’esercito a protezione dell’impianto. Inoltre, questa mossa può servire per dimostrare ai vari fornitori nazionali in che modo si stia muovendo il settore del gas, per tentare di rinegoziare alcuni contratti dopo il brusco calo dei consumi dal dopo-crisi. Nella tabella qui sotto le importazioni italiane di gas (per Paese di provenienza, dal 1990 al 2011):



Eni è ancora legata a contratti del tipo “take-or-pay” con la Russia: se i volumi “prenotati” non vengono ritirati, Eni deve corrispondere una penale. Molti dei contratti libici, poi, sono legati a strutture contrattuali estremamente onerose, in cui il partner locale riceve una percentuale altissima del profitto (tra le più alte al mondo). Rinunciare al gas libico serve per dimostrare ai libici che di Libia si può fare a meno; e serve per dimostrare ai russi che di gas ce n’è così tanto, che ci si può permettere di chiudere un rubinetto a piacimento. Nel frattempo, se poi il rubinetto si chiude, si compra più gas dalla Russia, evitando di corrispondere onerose penali.
Del resto, se i consumi in Italia sono crollati, la Russia ci ha rimesso molto in termini di volumi esportati. Nel 2006 in Italia si consumavano ancora 83,5 miliardi di metri cubi di gas, di cui 22,5 di provenienza moscovita. Nel 2011 la domanda è scesa a 76,7 miliardi, coperti per 19,6 dai russi. Anche dall’Algeria le importazioni sono diminuite nello stesso periodo, passando da 25 a 21,3 miliardi. La Libia in periodi “normali” rappresenta il 12,5% delle importazioni italiane di gas. Ecco la mappa dei gasdotti e dei rigassificatori:

 

In merito a questo presunto “bilanciamento” del Cane a sei zampe tra Libia e Russia si scatena lo scetticismo degli operatori del settore. La voce tra gli addetti è che Eni, che controlla tutti gli accessi per l’importazione di gas in Italia, sfrutti le vicende libiche per ottenere vantaggi in chiave russa – come sarebbe già successo con la precedente chiusura di Greenstream in occasione della guerra civile libica. Le chiusure rappresenterebbero eventi dalla gestione difficile per molti operatori nazionali che operano su base geografica più limitata. Per fortuna, stavolta l’interruzione è durata poco e ha avuto luogo in un finesettimana, quando i consumi sono più bassi. Così, in poco tempo i malumori si sono chetati, e l’Eni ha un esercito in più a proteggerla.
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