giovedì 7 marzo 2013

Caro Beppe il tuo l'hai fatto, ora spostati e lascia la parola ai tuoi eletti

VERITA’ MANIPOLATA

Perché viene chiamata “democrazia” un belpaese in cui l’aspirante governo è stato eletto dal 20 per cento dell’elettorato attivo (tenendo conto anche dei quasi 14 milioni di cittadine e cittadini che non hanno votato o hanno invalidato la scheda elettorale)? Rispondere a questa domanda significa toccare una protagonista assoluta (ma ignorata) della scena sociale. Infatti, c’è un’unica parola d’ordine ad imperversare, ma sotto traccia, apparentemente invisibile. 
 
La menzogna è l’unica assoluta protagonista - ovviamente mai nominata dagli attori, pardon dalle comparse del Potere - del discorso pubblico contemporaneo. In tempi di cibernetica avanzata, i segreti e i silenzi non bastano: la verità deve essere neutralizzata in altro modo. Di conseguenza, si propinano versioni di comodo dei fatti, si distrae l’attenzione dai problemi reali dando il massimo rilievo a questioni di scarsa importanza, si inventano pericoli e nemici inesistenti per eludere quelli reali, si passa il bianchetto su tesi scomode a chi balla sul palco dell’avanspettacolo politico, si alimentano paure di massa, si usa il malcontento generale per il proprio tornaconto. E così, a margine, va in onda grazie a gente inconsapevole, ma in particolare a servi e lacché di turno, la sindrome da commento a tutto spiano: insomma, un’illusione di partecipazione alla vita sociale.
In particolare, le verità scomode vengono neutralizzate riformulandole in maniera appropriata, in modo che non possano infastidire. Il terreno fondamentale su cui ora viene combattuta la guerra contro la verità è ancora e sempre,  quello del linguaggio che tradisce i contenuti reali. Si tratti di persuadere l’opinione pubblica dell’utilità di una guerra (il caso italiano). Oppure dell’opportunità di politiche economiche socialmente inique (sempre il caso italiano), si tratti di tranquillizzarla sul dilagante inquinamento ambientale o di persuaderla della inevitabilità del degrado istituzionale, gli effetti voluti dal sistema di potere non cambiano, quando le redini sono in mano a più o meno abili dirottatori dei sentimenti e delle emozioni.

Il potere delle parole risulta ancora decisivo per la costruzione ed il consolidamento del consenso, anche se Casaleggio & Grillo intendono rimuovere i libri di testo dalle scuole nel loro programma formato bignami. Basta fare un esame critico dei luoghi comuni usati dai contendenti sulla scena per conto terzi: Berlusconi, Bersani, Renzi, Vendola, Monti, Napolitano e l’ultimo arrivato, il duetto  Grillo&Casaleggio. In termini di sedicenti contenuti, non c’è alcuna differenza sostanziale. C’è un unico comune denominatore: sono lontani anni luce dalla politica intesa come realizzazione del bene comune.

Prendete Casaleggio, ops, Grillo (scusate il lapsus, sic!) con il seguito di adepti e tifosi accomunati dallo scontento: se questo è il livello delle proposte politiche, tanto vale fare subito il mago Otelma presidente del Consiglio. Sbotta l’ ex comico, ragioniere: “La nostra è una pseudo rivoluzione disordinata”. Che vuol dire? Ma parla come mangi a quattro ganasce. Eppure gli ultimi arrivati si ritengono addirittura gli unici custodi della verità assoluta. E guai a metterli in discussione critica. E’ lapalissiano: una “nuova” strategia politica va inserita in una strategia globale di controllo del consenso e manipolazione delle aspettative collettive. In una parola: il marketing politico di Casaleggio Associati, o se si preferisce il neuro-marketing. La politica è, però, ben altra cosa. Il metro di lettura è sempre unico, anche se viene sciorinato con forme suadenti: produzione e profitto. Ergo: la vittoria di M5S sembra attestare la debolezza dell’azione politica contemporanea, più che non la possibilità di un’azione diretta in vista di un cambiamento positivo. 

Grillo è il sintomo di questa crisi, non la cura. Ha beneficiato di esagerata attenzione e ha permesso notevole confusione, perché è saltato fuori dallo stesso palcoscenico mediatico. Grillo, o meglio chi per lui, ha misurato le insufficienze altrui, ha coagulato molto scontento, ma non ha il compito, soprattutto le capacità, di offrire all’Italia un punto e a capo. Non è in grado e sta barando sfacciatamente. Al tavolo del poker si sa come va a finire, in tal modo. Anche perché il sistema italiano è in “crisi” indotta dalle speculazioni finanziarie (di chi oggi adula platealmente il pifferaio: alla voce Goldman Sachs), ma non è collassato. Un nodo cruciale: l'Italia è priva di una classe dirigente, non solo in ambito politico.

Più di tutto, c’è un dettaglio grande più dell’Everest: nel 2008 mister Beppe Grillo, ha incontrato segretamente l’ambasciatore USA in Italia, certo Ronald Spogli (al servizio di Bush junior). E non hanno certo chiacchierato di cibo, ma del prossimo scenario politico nello Stivale. Meno di un anno dopo, spunta il Movimento 5 Stelle. Che singolare combinazione. Certo M5S era stato preceduto alle amministrative dalle liste grilline, ma non era stato un successo, anche se poi Grillo (e tutta la sua macchina mediatica) aveva fatto campagna elettorale alle europee per Luigi De Magistris e Sonia Alfano (il primo ha votato per il ritorno del nucleare e l’altra ha innescato una “folgorante” carriera; entrambi senza mai interrogarsi pubblicamente sui disastri del Trattato di Lisbona - in termini di restrizione di libertà - approvato il 13 dicembre 2007, ma entrato in vigore il primo gennaio 2009) C’era bisogno di un riconoscimento e di un incoraggiamento , o se preferite, di uno sponsor di peso. Et voilà: Uncle Sam.

D’altro canto, al cambio della guardia, la casta per eccellenza è in procinto di suicidarsi, rincorrendo su un terreno scivoloso l’ “animale da palcoscenico”. Questo è un bene: ci vuole un ricambio, anzi una rigenerazione. Basta con questi parassiti autoreferenziali e corrotti. Occuparsi seriamente della cosa pubblica non è lo stesso che mandare in scena il cabaret. Non tutto è perduto: anzi, la crisi anche in senso etimologico, indica un punto di svolta.
La menzogna, però, chiama in causa la società malata in cui nasce e prospera, alienata continuamente almeno in due modi. In primo luogo, in quanto presuppone che la realtà sociale debba essere in qualche modo occultata o travisata per potere essere accettata; sotto questo profilo il grado di falsità del discorso pubblico contemporaneo è un buon indicatore delle anomalie. Inoltre, la diffusione stessa della menzogna implica l’esistenza di meccanismi sociali in grado di favorirne la produzione e la diretta propagazione.

L’ignoranza è la madre di ogni cieca ed insensata devozione. Il guru del guru sarà anche considerato un esperto del web, ma in politica è un dilettante allo sbaraglio e se ne accorgerà presto. Una delle sue tante gaffe? Ha dichiarato in un’intervista televisiva che “democrazia diretta” significa vigilare i propri dipendenti”. Quale futuro si auspica la Casaleggio Associati? In una battuta: la mercificazione delle emozioni e delle esperienze virtuali? Perché a quanto pare il nuovo arrivato sotto mentite spoglie (di lato, non dietro al capo di carta velina), usa lo stesso metro: consumo e profitto. 

L’Italia non è l’America del Nord, anche se da decenni è in atto un’omologazione impressionante, modulata sull’immaginario collettivo, a partire dal Cinema (usato per la propaganda più smaccata) e dalla Rete (un’invenzione militare USA concessi ai civili per finalità di controllo, non dimentichiamolo mai!). 

Occhi aperti: è in gioco la perdita del futuro. Che fare in una nazione ricca di talenti, intelligenze e creatività che nel resto del mondo sognano ad occhi aperti? Rimedi? Le strategie di resistenze sono molteplici. Sta noi, metterle in campo ed attuarle senza farci condizionare dal discorso corrente del Potere, teso a consolidare il suo dominio sulla nostra esistenza. Occorre tuttavia andare oltre: bisogna passare all’offensiva antropologica. Non è possibile assoggettarsi a questa subdola dipendenza televisiva-internettiana. Ma vi rendete conto dell'assoluta scarsità di contenuti culturali e del bieco appiattimento su slogan commerciali?

L’unica “guerra” persa è quella che si ha paura di combattere. Su la testa!
(Fonte)
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