giovedì 21 febbraio 2013

Sbarramento e premi Tutte le trappole della legge elettorale

Domenica il voto: così il “Porcellum” aumenta il rischio di ingovernabilità




La legge è la numero 270 del 21 dicembre 2005. Ai più nota come «Porcellum». E da otto anni disciplina l’elezione dei membri di Camera e Senato. Si tratta, in breve, della legge elettorale più discussa e criticata dal giorno della sua promulgazione. E a nulla sono valsi, in questi anni, gli appelli del Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla forze politiche per riformarla. 

Come funziona  
Nella sostanza si tratta di un sistema proporzionale che prevede liste bloccate, dove, l’elettore non sceglie direttamente i candidati, che sono eletti invece secondo l’ordine di presentazione in base ai seggi ottenuti dalla singola lista. Insomma, i cittadini non scelgono i loro rappresentati (e questo è il primo elemento di criticità) ma sono le segreterie dei partiti a stabilire chi avrà o meno chance di entrare nell’emiciclo parlamentare.  
Differenze tra il voto per la Camera e quello al Senato  
Per ottenere seggi alla Camera ogni coalizione deve ottenere almeno il 10% dei voti nazionali mentre per le liste non collegate la soglia minima viene ridotta al 4%. Lo stesso parametro (4%) è applicato alle liste collegate a una coalizione che non ha raggiunto la soglia. Le liste collegate a una coalizione che abbia superato tale parametro partecipano alla ripartizione dei seggi se superano il 2% dei voti, o se rappresentano la maggiore delle forze al di sotto di questa soglia all’interno della stessa, insomma, il miglior perdente. Per esemplificare se una coalizione, ad esempio quella guidata dal premier uscente Mario Monti, non riuscisse ad ottenere il 10% dei voti nazionali alla Camera, le tre liste collegate componenti la coalizione per avere loro rappresentanti in aula dovrebbero almeno ottenere il 4%. Diversamente resterebbero fuori. Mentre se il 10% fosse centrato, alle liste basterebbe loro anche il 2%, e comunque, il miglior risultato sotto questa soglia consentirebbe anche alla prima lista sotto il 2% (il miglior perdente) di ottenere la rappresentanza.  

La ripartizione dei seggi  
Alla coalizione di lista più votata, cioè quella che ottiene la maggioranza relativa, qualora non abbia già ottenuto 340 seggi, è attribuito il cosiddetto premio di maggioranza qualunque sia la percentuale di voti raccolta. Anche per il Senato è previsto un premio di maggioranza volto ad assicurare il 55% dei seggi regionali (non nazionali) alla coalizione (o lista) che abbia ottenuto voti. Il meccanismo però è diverso rispetto alla Camera perché opera su base regionale con conseguenza che può determinarsi una maggioranza diversa da quella formatasi alla Camera. Per i seggi a Palazzo Madama, infatti, le soglie di sbarramento sono pari al 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, l’8% invece per quelle non coalizzate e per le liste che si sono presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%. 

Il rischio ingovernabilità  
Poniamo il caso che ci siano quattro forze con quattro leader destinate a contendersi la sfida elettorale: Bersani, Berlusconi, Grillo e Monti. E poniamo il caso che Bersani ottenga la maggioranza dei consensi alla Camera. Da questo successo non discende, però, che lo stesso Bersani abbia un vantaggio, anche minimo, al Senato in ogni regione. Almeno per due motivi: in primo luogo perché l’elettorato attivo per i due rami del Parlamento non coincide, e poi perché l’elettore può esprimere due voti diversi differenti tra Camera e Senato. Non solo, prevalere a livello nazionale - proprio a causa del funzionamento dei premi di maggioranza delle legge - non comporta il raggiungimento di un vantaggio in ogni circoscrizione elettorale. Inoltre, mentre il premio di maggioranza alla Camera è pari al 54% dei seggi, al Senato per maggioranza si intende quella assoluta di seggi che è 158. A questo si deve aggiungere la ripartizione estera e il numero di seggi assegnato per le regioni Trentino-Alto-Adige e Valle D’Aosta nonché i due seggi del Molise. In tutto fanno 16 seggi, che non sono per nulla influenti, se si tiene conto che sono un ventesimo del totale. 
La situazione ottimale, dunque, per una lista o una coalizione sarebbe quella di risultare vincente, non solo alla Camera (anche con la sola maggioranza relativa) ma in ogni singola regione. Ma ciò, stando agli ultimi sondaggi noti appare difficile. E così, ad esempio, se la coalizione più votata alla Camera vincesse in tutte le regioni ma non in Lombardia perderebbe 27 seggi di premio conquistandone solo 7 e fermandosi così a 151, tre meno della soglia di maggioranza prevista. E così, peggio, se perdesse anche in altre regioni. In maniera sintetica, la ipotetica lista vincente alla Camera potrebbe conservare anche la maggioranza in Senato soltanto se la differenza tra i seggi del premio di maggioranza e i seggi conquistati nella file dell’opposizione sia meno di 17. 

Le incognite  
Al Senato rimane il nodo di quanti seggi i partiti minori potranno «sottrarre» alle forze più accreditate per la vittoria. Da qui il forte invito elettorale lanciato da Pd e Pdl al «voto utile». Alla Camera il tema cruciale - come del resto anche a Senato - resta la novità Grillo e il consenso che ruoterà intorno a Mario Monti.
 (Fonte)
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