mercoledì 23 gennaio 2013

Uranio impoverito, risarcimenti zero

Sono 450 i casi di militari che hanno fatto richiesta di indennizzo alla Difesa per malattie legate all'esposizione al materiale tossico. Ma grazie a un decreto voluto dall'ex ministro La Russa, nessuno di loro ha avuto un soldo dei 30 milioni di euro stanziati nel 2008. Ecco le conclusioni della commissione d'inchiesta




 Il 5 dicembre scorso, in una delle ultime audizioni della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, è stato il maresciallo in congedo Vincenzo Riccio a sferrare l'ennesimo pugno nello stomaco dei senatori: "Sono al corrente del fatto che numerosi militari italiani affetti da cancro stanno tenendo nascosta la malatia", ha raccontato. "Considerato il comportamento tenuto finora dal Ministero della Difesa nei confronti di chi si è ammalato di ritorno dalle missioni, in tanti hanno paura di essere congedati e di perdere lo stipendio che gli serve per curarsi".


E' stato il sigillo a due anni e mezzo di audizioni in cui, davanti agli onorevoli incaricati incaricati di fare luce sui decessi e le gravi patologie dei militari impiegati all'estero e nei poligoni di tiro "in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici", hanno sfilato storie incredibili di sofferenza e di abbandono. Perché il Ministero degli F35, dei nuovi sommergibili pagati a peso d'oro, delle Maserati acquistate per "rinfrescare" il parco macchine un anno e mezzo fa, nei confronti dei soldati malati e dei familiari dei morti di tumore, linfoma o leucemia negli ultimi vent'anni ama mostrare il proprio lato più ferocemente parsimonioso.
Lo dicono i numeri, fotografati nella relazione finale approvata il nove gennaio scorso dalla Commissione che sarà pubblicata questa settimana. Tra tante spese roboanti della Difesa, i circa 30 milioni di euro stanziati nella finanziaria 2008 per gli indennizzi delle vittime di tumori "connessi all'esposizione e all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito" sono ancora quasi tutti nel cassetto. Nel novembre 2010, a due anni dalla creazione del fondo, nessuna delle 439 domande presentate entro i termini era stata evasa o accolta. Colpa di un decreto attuativo, voluto dai tecnici dell'allora ministro La Russa, che vincolava qualunque risarcimento a una certezza scientificamente impossibile da provare: il nesso causale diretto tra la contaminazione da uranio e l'insorgere del tumore. Dopo la modifica della legge, oggi per essere riconosciuti vittime del dovere basta essersi ammalati "per particolari condizioni ambientali e operative". Ma le nuove domande e le istanze di revisione delle vecchie continuano ad essere respinte a raffica.  

Più delle cifre, parlano storie come quella del Maresciallo Riccio: "A 43 anni vivo con i miei genitori - racconta da Napoli ?€“ nel 2011 mi hanno congedato per un carcinoma neuroendocrino dopo 23 anni di servizio, senza possibilità di reimpiego nei servizi civili. Ho appena i soldi per pagarmi le visite specialistiche e gli esami urgenti. Dalla Difesa non ho avuto un centesimo e nemmeno una telefonata".

L'inizio di carriera come missilista e addetto ai radar. Le esercitazioni annuali al poligono interforze di Salto di Quirra, in Sardegna, finito al centro di un'inchiesta per omicidio colposo plurimo legato all'inquinamento ambientale.

Due missioni in Iraq, a Tallil, "dove noi italiani operavamo senza protezioni in vecchie strutture bombardate durante la prima Guerra del Golfo - spiega - a cui gli americani non osavano nemmeno avvicinarsi seppure adeguatamente protetti". Per lui l'inferno è cominciato nel 2010, con la diagnosi delle metastasi multiple al fegato. Riconosciuto invalido civile al cento per cento, due mesi fa la sua richiesta di indennizzo al Ministero è stata respinta dopo il parere di un apposito "Comitato per le cause di servizio".

Il Comitato dipende dal Ministero dell'Economia, ma è integrato da 16 medici militari. Sulla base delle informazioni fornite dallo stesso Ministero della Difesa, comunica alla Direzione Generale della Previdenza Militare (PREVIMIL) il suo responso vincolante per ogni caso esaminato. La Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, di fronte al numero esorbitante di richieste bocciate e alle motivazioni generiche dei verdetti, nel 2011 ha chiesto a un consulente di riesaminare i fascicoli dei "respinti". Almeno il 30 per cento, secondo il dottor Bruno Causo, andrebbero subito riconsiderati "applicando senza remore i criteri probabilistici a cui si ispira la legislazione vigente".

Il Caporal Maggiore Parà "in congedo assoluto" Giuseppe Tripoli, 31 anni, per due volte si è visto respingere la richiesta di essere riconosciuto come vittima del dovere. Era di stanza a Livorno nel 9° Reggimento Incursori "Col Moschin", addetto all'ispezione e alla bonifica dei mezzi militari di ritorno dai Balcani. Ha contratto il linfoma di Hodgkin e a vent'anni, mentre faceva la chemioterapia, la Difesa lo ha rottamato come un arnese inutile. "Non ho mai avuto in dotazione né mascherine né altre protezioni mentre pulivo i carri, non ero al corrente dei rischi", ricorda da Brescia. "Mi sono ritrovato senza forze e senza soldi. I miei genitori hanno dovuto indebitarsi pur di trovare in fretta e furia il denaro per farmi fare le TAC. Stanno ancora pagando, non glieli hanno certo prestati le banche". Oggi è disoccupato, invalido al 50 per cento senza benefici o pensione, entra ed esce da cliniche e pronto soccorso con il terrore che la malattia si risvegli.

Dal 1991 al 2012, secondo i dati dell'Osservatorio Epidemiologico della Difesa, 3761 soldati italiani si sono ammalati di cancro, 479 sono stati i decessi. Giovani pieni di salute prosciugati da leucemia e linfoma di Hodgkin, patologia rara che ha colpito centinaia di soldati al rientro dalle missioni in Somalia, in Iraq, nei Balcani. Per la Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, presieduta dall'ex Sottosegretario alla Difesa Rosario Giorgio Costa, è impossibile affermare od escludere l'esistenza di un nesso causale tra l'esposizione a questo metallo radioattivo e l'insorgere di tumori.

Le certezze non esistono, i dubbi cocenti sì. Non riguardano solo l'uranio impoverito. Alcuni degli esperti e gli avvocati dei militari ammalati puntano il dito contro le somministrazioni multiple e massicce di vaccini, capaci di abbassare drasticamente le difese immunitarie dei soldati; altri contro le nanoparticelle di metalli pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico che potrebbero aver contaminato chi negli anni ha sparato e raccolto proiettili nei poligoni oppure operato in territori di guerra non bonificati senza indossare guanti, mascherine e tute protettive.

Il caporale Erasmo Savino, 31 anni, risponde al telefono con voce debole. "La malattia peggiora, oramai sono quasi sempre a letto. Ma io non mi arrendo". Un melanoma al piede lo ha aggredito nel 2010, anche lui tra il 1999 e il 2001 è stato in Kossovo con compiti di addetto all'installazione di impianti idraulici e termici, ha scavato e pulito fognature in un terreno contaminato dai proiettili all'uranio usati dall'esercito americano. Dopo il suo congedo nel marzo 2012, a ottobre la sua struggente testimonianza davanti alla Commissione d'inchiesta ha riacceso i riflettori sull'esercito dei giovani fantasmi dimenticati dalla Difesa. Erasmo aveva chiesto che il Comitato per le cause di servizio riesaminasse il parere negativo dato alla sua richiesta d'indennizzo. "Nessuna novità al momento", sussurra dalla provincia di Napoli. "Un po' ci speravo nella visita di qualcuno del Ministero, anche solo per sentirmi chiedere 'come stai?'. Invece ricevo solo comunicazioni burocratiche".

Non di rado, fa notare la stessa Commissione d'inchiesta nelle sue conclusioni, i dinieghi della Difesa vengono ribaltati in sede sede civile e amministrativa, dove le sentenze di condanna del Ministero fino ad oggi sono 12, di cui 4 l'anno scorso. Nel 2009 i familiari di un militare di Lecce morto a 26 anni per un linfoma di Hodgkin hanno ricevuto un milione e mezzo di euro di danni, ben più dei duecentomila euro previsti come tetto massimo dalla normativa vigente in materia di benefici alle vittime del dovere.

Luigi Buonincontro è tra coloro che si sono rivolti al Tar. "Mio fratello Roberto", racconta, "ha fatto solo un anno di leva militare, nel 1992. Nel 1994 è esploso il linfoma. Dopo nove cicli di chemioterapia se n'è andato a 22 anni".

Roberto ha prestato servizio a Salto di Quirra, nel poligono sperimentale tristemente noto per l'alto numero di linfomi, leucemie e malformazioni che hanno colpito militari, lavoratori civili della base, pastori, abitanti e animali al pascolo nelle zone circostanti. La Commissione d'inchiesta ha ottenuto dalla Camera una cifra simbolica, 75 milioni di euro, per iniziare la bonifica immediata e la riconversione del sito e di altri due poligoni dell'isola. Ha anche chiesto l'avvio di un'indagine epidemiologica su Salto di Quirra ancora in alto mare per le resistenze opposte dalla Regione Sardegna.

Roberto Bonassina, invece, nel 1993 era in Somalia come volontario. "Nel 2006 è morto di una leucemia fulminante", racconta il padre Alberto, "lasciando un bambino di 2 anni e mezzo". Un figlio cui non spetterà nessun beneficio economico; per 2 volte il PREVIMIL ha già rigettato le istanze dei Bonassina. "Roberto aveva appena acceso un mutuo per la casa, che stiamo cercando di onorare", dice il signor Alberto da Milano con la voce incrinata. "Mi raccontava che i soldati italiani, là a Mogadiscio, erano in maglietta e pantaloncini, mentre quelli del contingente USA erano bardati dalla testa ai piedi malgrado il caldo. E quando ha chiesto spiegazioni ai suoi superiori, gli hanno risposto che erano le solite americanate...".
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