giovedì 1 dicembre 2011

Il debutto della "macchina del fango" ma il processo non svela i mandanti

Questo è il racconto di come una matassa fatta di faccendieri prezzolati, di agenti segreti deviati, di uomini della politica e dell'informazione compiacenti abbia messo in piedi la trappola che doveva decapitare l'opposizione di centro-sinistra in Italia. Di come un'inchiesta giornalistica abbia smontato la trappola e di come quella verità giornalistica si sia trasformata, otto anni dopo, in verità processuale. E del perché quella verità sia ancora incompleta.

  ROMA - Cosa è stata "l’operazione Telekom Serbia"? Perché, a otto anni di distanza dall’inchiesta con cui Repubblica svelò la macchinazione che doveva decapitare, screditandola, l’intera leadership del centro-sinistra e intimidire l’allora capo dello Stato (Carlo Azeglio Ciampi), è utile tornare a illuminare questa vicenda? Giuseppe D’Avanzo, che a quell’inchiesta lavorò, ancora nell’autunno dello scorso anno, scriveva: "Quella che si mosse nel 2003 fu la madre delle operazioni lavorate dalla macchina del fango". Un giudizio che aveva solide fondamenta in una "verità giornalistica" a tal punto insormontabile che, il 10 novembre scorso, è diventata anche una verità processuale. La quinta sezione del Tribunale di Roma ha infatti condannato quel giorno a dieci anni di reclusione per "associazione a delinquere finalizzata alla calunnia" l’uomo che dell’operazione Telekom è stato maschera e ventriloquo: Igor Marini, sedicente conte, già facchino al mercato ortofrutticolo di Brescia, improbabile brasseur d’affaires e altrettanto improbabile testimone di accusa di una Commissione parlamentare d’inchiesta utilizzata come strumento di intimidazione politica.

Il processo di Roma ha reso dunque giustizia ai fatti. Che vale la pena riassumere nella loro sostanza. L’8 gennaio del 2003 (Silvio Berlusconi è da poco più di un anno tornato alla Presidenza del Consiglio dopo cinque anni all’opposizione), un anonimo segnala alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla vicenda Telekom Serbia che uno sconosciuto avvocato romano, Fabrizio Paoletti, e un altrettanto sconosciuto mediatore d’affari, Igor Marini, custodiscono il segreto delle tangenti che, nel 1997, avrebbero facilitato la disastrosa acquisizione da parte della Stet del 29 per cento di Telekom Serbia, azienda telefonica del regime di Slobodan Milosevic.

Passano quattro mesi, e il 7 maggio di quell’anno sul proscenio di Palazzo San Macuto si affaccia Marini. L’uomo si auto accusa di aver riciclato 55 milioni di dollari in tangenti, distribuendole agli allora leader del centro-sinistra: Francesco Rutelli, Lamberto Dini, Walter Veltroni, Piero Fassino, Clemente Mastella, Romano Prodi. Trascina in una grottesca spedizione in Svizzera una delegazione della Commissione (che verrà arrestata dalle autorità elvetiche). Indica quali prove documentali a sostegno dell’operazione garanzie bancarie, evidenze fondi, pay order di congregazioni apostoliche americane. E’ carta straccia. Falsi grossolani in qualche caso costruiti al personal computer. Che anche un bambino riconoscerebbe come tali, ma che la maggioranza di centro-destra della Commissione parlamentare non solo non svela, ma contribuisce a legittimare. Accompagnata da un’assordante campagna stampa del quotidiano di famiglia Il Giornale, che alle rivelazioni del sedicente conte dedica trentadue titoli di apertura.


La Grande Calunnia di cui Marini si fa ventriloquo diventa una giostra su cui salgono avventurieri di ogni tipo. Una corte dei miracoli dove fanno capolino sacerdoti, notai, avventurieri serbi, e in cui cerca fortuna anche un figuro come Antonio Volpe, un salernitano del ’56 che va dicendo in giro di essere stato collaboratore dei Servizi, già coinvolto in inchieste per traffico di titoli falsi e riciclaggio, in odore di massoneria, presidente di una sedicente organizzazione umanitaria “White Elmets”. Volpe, nelle intenzioni degli architetti della Grande Calunnia, dovrebbe essere l’uomo che “riscontra” le accuse di Marini, arricchendole dei grotteschi “nomi in codice” che accompagnano i farlocchi documenti bancari e indicano i destinatari delle tangenti: “Mortadella” (Prodi), “Ranocchio” (Dini), “Cicogna” (Fassino). In realtà, l’apparizione di Volpe è la faglia che fa franare definitivamente l’improbabile castello di menzogne costruito sin lì e che convince la Procura di Torino a trasformare Igor Marini da testimone d’accusa in indagato per calunnia (il processo verrà quindi trasferito a Roma per competenza).

Otto anni dopo, tuttavia, non tutte le domande poste all’epoca da Repubblica hanno trovato una risposta. A cominciare dalle più importanti. Quelle sui mandanti. L’istruttoria che ha portato alla condanna di Igor Marini e della sua compagnia di giro non ha infatti saputo o potuto risalire agli architetti di quell’operazione. Ne ha ricostruito il “format”, che avremmo visto nuovamente dispiegato negli anni successivi, ma non ha saputo indicarne con certezza l’artefice o gli artefici. Nell’”Operazione Telekom”, i pubblici ministeri Giuseppe De Falco e Francesca Loy individuano le impronte digitali di una Politica che si fa ricatto, violenza privata e pubblica, abuso. Ma tutto questo non diventa materia da codice penale, perché quella Politica non accetta né di farsi processare, né di testimoniare.

Nella loro requisitoria, De Falco e la Loy, non usano perifrasi: "Purtroppo - dicono - le indagini non hanno potuto dar conto di cosa ci sia sotto la calunnia e il sottobosco in cui germoglia. Né del perché personaggi come Marini abbiano formato oggetto di così attenta valutazione parlamentare. E questo non è stato possibile anche perché il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta, onorevole Enzo Trantino (An), ha ritenuto di doversi avvalere in questo processo di un improbabile segreto d’ufficio che a suo giudizio vincolerebbe gli atti della Commissione parlamentare". "Le calunnie mosse nel caso Telekom Serbia - aggiungono - configurerebbero, di per sé il reato impossibile, tanta la loro inverosimiglianza e palese falsità. E tuttavia, proprio l’uso politico che ne è stato fatto le ha trasformate in arma di grande impatto sulla vita politica del nostro Paese. Per queste ragioni sono calunnie della cui gravità assoluta deve tenere conto la pena che verrà inflitta".

Il Tribunale di Roma, lo abbiamo visto, la massima pena l’ha inflitta. Conviene tuttavia annotare il silenzio assordante su quest’esito processuale di chi era allora maggioranza di governo e sedeva in maggioranza in quella Commissione, la quale, per altro, chiuse i suoi lavori senza avere neppure la forza di rassegnare uno straccio di conclusione al Parlamento. Conviene ricordare i nomi di chi, a San Macuto, legittimò nei fatti quella calunnia, facendosene cassa di risonanza, ovvero preferì tacere per disciplina di partito. Parliamo di deputati e senatori della quattordicesima legislatura che, in più di un caso, sarebbero diventati di lì a qualche anno chi ministro della giustizia (Alfano e Nitto Palma), chi ministro per la Semplificazione normativa (Roberto Calderoli), chi sottosegretario alla Difesa (Guido Crosetto).

Eccoli: Enzo Trantino (An); Enrico Nan (Forza Italia); Luigi Bobbio (An), Giuseppe Bongiorno (An); Roberto Calderoli (Lega); Giampiero Cantoni (Forza Italia);  Francesco Chirilli (Forza Italia); Giuseppe Consolo (An); Antonio Pasinato (Forza Italia); Aldo Scarabosio (Forza Italia); Guido Ziccone (Forza Italia); Angelino Alfano (Forza Italia); Italo Bocchino (An); Guido Crosetto (Forza Italia); Francesco Nitto Palma (Forza Italia); Gustavo Selva (An); Carlo Taormina (An); Alfredo Vito (Forza Italia).
 

Quando Berlusconi disse: ''I miei giornali? Solo moderazione'' 

È il 23 maggio 2003 e Berlusconi si 'difende' a Porta a Porta sul caso Sme. Mentre annuncia che rimarrà al suo posto, rilancia il caso Telekom Serbia. Chiede chiarezza e, pur dichiarandosi un garantista, dice: "Bisogna fare piena luce su un affare che fu tutta una tangente". Nel salotto di Vespa difende anche l'operato dei propri giornali e la "moderazione" con cui hanno trattato il caso. In realtà il "Giornale" sbatte il mostro in prima pagina per 32 volte consecutive.

video

(da inchieste.repubblica.it di CARLO BONINI 29 novembre 2011) 

Stampa il post

Nessun commento:

Posta un commento