domenica 25 settembre 2011

Scola, "una nomina sporca"

Intervista al ’prete ribelle’ alla vigilia dell’insediamento del cardinale milanese
Domenica (25.09.2011) si insedia il nuovo arcivescovo di Milano, Angelo Scola. Prenderà il posto di Dionigi Tettamanzi. Molti vedono in questa successione la ferrea volontà di papa Benedetto XVI di “normalizzare” una diocesi, quella meneghina, considerata sbilanciata su posizioni progressiste. Alla vigilia dell’insediamento, ’L’Indro’ ha intervistato don Giorgio De Capitani. Parroco di Rovagnate, nel Lecchese, ha un sito web molto visitato, è autore di numerosi libri e tutti lo conoscono come il ’prete ribelle’.
Don Giorgio, allora, come giudica il Ministero di monsignor Tettamanzi?

Tutti sanno che la Diocesi di Milano è una delle più vaste al mondo e comprende zone diverse tra loro, con una popolazione eterogenea, per cultura e per tradizioni di fede. I cardinali Montini, prima, e Martini, poi, avevano cercato, ciascuno imprimendo il proprio stile pastorale ma entrambi con vedute molto aperte, di incarnare il messaggio evangelico in un periodo non certo facile per i continui mutamenti socio-politico-religiosi. Il cardinale Tettamanzi aveva ricevuto un’eredità molto pesante, ma, più che la Diocesi in sé, quello che poteva almeno inizialmente intimorirlo era il fatto di succedere al cardinale Carlo Maria Martini, che era riuscito a creare intorno alla sua straordinaria figura un certo rispetto reverenziale da parte dei credenti e soprattutto dei non credenti. Tettamanzi è partito quasi in sordina, proprio per non urtare il carisma del suo predecessore, ma senza farsi troppo intimidire né condizionare. Ha preso il giusto ritmo leggendo i segni dei nuovi tempi e facendo scelte anche coraggiose soprattutto nel campo socio-religioso, per esempio dialogando con le altre religioni, vedi l’Islam, e opponendosi ad ogni forma di xenofobia.

Da qui i contrasti con la Lega.

La Lega sfruttava ogni occasione per scaricare sul cardinale le sue vendette talora ridicole. Del resto, il Carroccio non era nuovo in questo suo critico atteggiamento verso quei vescovi che avevano uno sguardo più in là, e bastava poco. Già con Martini Irene Pivetti aveva tentato di raccogliere firme per mandarlo via. Tettamanzi, in sintesi, è stato un buon vescovo, paterno e coraggioso, coerente con il Vangelo di Cristo, a cui si riferiva con precedenza assoluta. Prima Cristo e poi la Chiesa, era il suo motto. Certo, forse poteva fare di più, forse poteva essere meno diplomatico con il Vaticano, forse doveva ascoltare con maggior attenzione le voci libere della base. D’altronde, è facile accusare dal basso: chi ha una certa autorità nel campo gerarchico non è del tutto ’spontaneo’ come vorrebbe. Il difetto dei vescovi è quello di lasciarsi troppo condizionare dai propri più stretti collaboratori, i quali non fanno altro che proteggersi dal ’loro’ vescovo, più che proteggere il vescovo dai suoi denigratori.

Come giudica la nomina di Scola?

Appena ho saputo della nomina di Angelo Scola a cardinale di Milano, sono rimasto letteralmente scioccato, e fortemente amareggiato. A tutt’oggi non mi sono ancora ripreso. Amarezza più rabbia, quasi ribellione. Premetto subito una cosa.

Prego.

Non sono mai stato tenero con Comunione e Liberazione e con i suoi adepti, e tanto meno con la Compagnia delle Opere. Da anni, da quando ero a Sesto San Giovanni, mi sono sempre tenuto a distanza dai ciellini, una gramigna invasiva, pronti alla conquista ’missionaria’, degna del proselitismo più farisaico. Ho ribadito più volte anche ai miei superiori: la spiritualità ’diocesana’ non è conciliabile con la spiritualità di un movimento ecclesiale. In altre parole, un prete diocesano non può essere anche ciellino o focolarino ecc. La conduzione di una parrocchia richiede una “mens” pastorale aperta al Vangelo integrale, il che non è garantito da un movimento che è chiuso secondo le regole del clan, della tribù o della setta. Questo vale per un semplice sacerdote, e vale anche, direi soprattutto, per un vescovo che ha da gestire un’intera Diocesi.
E se la Diocesi si chiama ambrosiana o milanese, allora si possono immaginare le conseguenze se essa venisse guidata da un cardinale ciellino. Lui stesso, il neocardinale, e i suoi tirapiedi (sono passati in fretta sul nuovo carro nello stile della peggiore cortigianeria) ripetono che non sarà così, non ci sarà cioè il pericolo che si comporterà da ciellino, ma come vescovo di tutti, con il cuore aperto al mondo intero.

Non ci crede?

Sono più che convinto che certe deformazioni mentali non si possono correggere tanto facilmente. C’è anche da dire - la cosa non la metterei in secondo piano - che la nomina di Angelo Scola è stata forse una tra le più ’sporche’ nella storia più recente della diocesi milanese. C’è sempre di mezzo la cosiddetta “politica” della Chiesa che valuta non solo la persona in quanto tale ma anche le sue aperture al sociale, e valuta il contesto di una diocesi che può rimettere in equilibrio una Chiesa sempre tentata di andare a destra o di essere tradizionalista. Ciò che mi ha letteralmente sorpreso è stato il cambio improvviso dei favoriti alla guida di Milano avvenuto subito dopo la vittoria di Giuliano Pisapia. Scola nei mesi precedenti era uscito dalla rosa dei favoriti. Come mai il giorno dopo la vittoria della sinistra a Milano il nome del patriarca è apparso su tutti i giornali? A me questi giochi fanno male, e non solo a me. Non si possono più perdonare, né accettare come parte di una Chiesa che si vorrebbe invece al di sopra di ogni sospetto.
Purtroppo è ancora una Chiesa che i calcoli li sa fare, quando si tratta di contrapporre un vescovo di destra a una situazione politica che vira a sinistra. Avrei preferito un vescovo sconosciuto, ma buon pastore, semplice, senza tanti titoli accademici, senza tante lauree. Un superiore mi ha rassicurato: "Forse Scola è stato mandato a Milano proprio perché ciellino, con lo scopo ben preciso di convertire il Movimento di don Giussani, ormai andato fuori rotta". Ma chi crede a questa balla?

Come si comporterà il nuovo vescovo su tematiche chiare come il dialogo con l’Islam e i rapporti con le istituzioni regionali e nazionali? Quali saranno le scelte di Scola sulle tematiche più scottanti?

Non c’è solo il dialogo con l’Islam o il problema dell’immigrazione: penso che qui Scola starà bene attento a non prendere qualche cantonata. Ma, per me, si giocherà il suo consenso sul problema degli omosessuali, dei preti gay, delle coppie di fatto, dei divorziati, del testamento biologico. Non credo che manifesterà qualche apertura. E questo già mi spaventa. C’è chi dice che con Scola ci sarà un ritorno al pre-concilio con le Messe in latino che stanno ormai proliferando dappertutto, dietro la spinta di beceri fondamentalisti a cui importano solo le cerimonie religiose, all’antica. Cascasse il mondo, questi idioti super-cattolici resterebbero lì immobili nel loro ghetto a discutere di paramenti liturgici. Ma la cosa ancor più allarmante sarà la difficoltà concreta di Scola di uscire dal gioco blasfemo di un sostegno politico all’attuale governo. E questo, proprio per difendere i valori cosiddetti ’cattolici’ con l’appoggio di una politica che, per un verso sfregia la democrazia, la giustizia, il bene comune, e, per l’altro, vuole accontentare quel mondo cattolico, in particolare dei movimenti ecclesiali più integralisti e corrotti, per averne il consenso.

Sono iniziati i giochi per la successione a Benedetto XVI?

Gira una voce che può avere un suo fondamento. La nomina di Scola sarebbe, sottolineo ’sarebbe’, da attribuire ad una scelta personale dell’attuale papa Ratzinger. Data la sua età, prevede di rimanere sul soglio pontificio ancora per qualche anno, lasciando poi il papato sulle spalle di Scola, che rimarrebbe perciò a Milano solo il tempo ’opportuno’. Tutto previsto, dunque. Alla faccia dello Spirito santo invocato continuamente come il vero artefice della Chiesa. E questa la chiamano fede? Sono stufo dei giochi ’sporchi’ di chi prende la Chiesa come un misero campo di battaglie personali, anche se tutto viene fatto in nome di Dio per il bene dell’umanità. Ma di quale umanità?
di Agostino Riitano venerdì 23 Settembre 2011


Avevo scritto anche un Notabene che ci tenevo venisse pubblicato. Lo faccio di mia iniziativa.

Nota Bene.
Di proposito non ho parlato dei miei rapporti con i cardinali che ho conosciuto di persona, da Colombo a Tettamanzi. Con il cardinale Giovanni Colombo il mio rapporto è stato fortemente conflittuale: non dimentichiamo che eravamo negli anni del ’68, e in quel periodo di grandi tensioni socio-religiose Colombo non è stato all’altezza. Si è lasciato prendere dalla paura e da sospetti. Ha “rovinato” diversi preti, mettendoli in una solitudine veramente drammatica. Le cose sono cambiate con Carlo Maria Martini che mi ha preso subito a cuore, arrivando addirittura a decidere lui personalmente nei miei riguardi. Ho avuto con lui diversi incontri, e mi ha scritto diverse lettere. Con Tettamanzi il rapporto è stato complessivamente buono, anche se la sua tattica con i preti era diversa da quella di Martini: Tettamanzi difficilmente interveniva di persona, delegava i suoi più stretti collaboratori, i quali, come tutti sanno, non sempre sanno interpretare lo spirito della legge, preferendone la lettera o il diritto canonico. Con Tettamanzi ho avuto diversi incontri, tra cui ricordo in particolare l’ultimo, verso la fine di aprile di quest’anno: quel colloquio l’avevo quasi preteso per evitare di essere “giudicato” solo dal diritto canonico. La cosa che mi ha stupito è la parte che ha fatto il cardinale: da paciere, diciamo di un buon padre di famiglia che cerca di salvare il figliol prodigo. L’ultima lettera (fine luglio di quest’anno) che mi ha inviato indirettamente - l’ha scritta in realtà al Vicario episcopale di zona - l’ho ritenuta una lettera “di dovere” istituzionale, e proprio per questo “non spontanea”. Certamente non è stato ligio al diritto canonico quando ha ricevuto dal Vaticano la lettera di avvertimento per una eventuale sospensione “a divinis” a seguito della mia firma per il testamento biologico. “Eminenza, che cosa ne ha fatto?”. “L’ho tenuta nel cassetto!”.
  
Con il nuovo cardinale il mio rapporto come sarà? Difficile prevederlo! Dico solo che provo un grande disagio per l’attuale situazione della diocesi milanese, e non mi sento di accettarla a occhi chiusi, in nome di un’obbedienza che dalla Chiesa finora è stata imposta come virtù “sine qua non”, per nascondere con fede cose ripugnanti. Per me la Chiesa di Milano ora è vacante. Vorrei prendere come guida solo lo Spirito santo. Almeno per il momento. Ma lo Spirito santo dov’è?

Don Giorgio De Capitani

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