mercoledì 17 agosto 2011

UN PARTITO FUORILEGGE

Quanto  più la Lega Nord reagisce alle difficoltà e alla perdita di consensi con atteggiamenti beceri e arroganti, tanto più appare evidente  che si tratta,  come ha scritto Cinzia Sciuto su cronachelaiche.it del 2 agosto, di «una forza  politica anticostituzionale, che non dovrebbe avere diritto di sedere in parlamento».

Una forza politica secessionista e razzista…
La Lega presenta due profili di anticostituzionalità: il primo sta nel suo nome e nel suo statuto, che contrastano con l’art. 5 della Costituzione, secondo cui l’Italia è «una e indivisibile». L’art. 1 dello statuto leghista, invece, afferma: «Il movimento politico denominato “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”.. ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica federale indipendente e sovrana» (corsivi miei).
La Lega confligge inoltre con il divieto costituzionale (XII norma transitoria) di ricostituzione del partito fascista là dove la legge 20 giugno 1952 n. 645, che dà applicazione a tale divieto, stabilisce che si ha riorganizzazione del  partito fascista quando si perseguono «finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista» (corsivi miei).
incompatibile con la Costituzione
Ora, si potrà forse sostenere che la Lega  si ripromette di giungere in modo democratico alla secessione. Ma, finché non avrà raggiunto l’obiettivo con un referendum che cambi la Costituzione e sancisca la divisione del paese, un simile partito non può certo governare cioè giurare con propri ministri sulla Costituzione, secondo cui l’Italia è “una e indivisibile” (art. 5), e contemporaneamente tradirla invocando, come hanno fatto nel giugno scorso a Pontida Maroni e Bossi, l’indipendenza della Padania o addirittura praticando l’obiettivo della secessione. Il che la Lega ha fatto in questi mesi spostando, seppure in forma solo  propagandistica e buffonesca, i ministeri a Nord; impedendo l’approvazione del decreto sui rifiuti di Napoli; e cercando di accreditare  l’esistenza della Padania, perfino con  l’inserimento nel calendario ciclistico internazionale del Giro di Padania (in realtà  Nord Italia), sponsorizzato dai leghisti abusando di posizioni di governo (come ha fatto il leghista Michelino Davico, promotore del giro e sottosegretario agli interni).
Sotto l’ altro profilo poi, quello razzista, le idee e le pratiche della Lega Nord mettono questo partito in contrasto evidente con la Costituzione, collocandolo a pieno titolo fra le organizzazioni che «minacciano o usano la violenza quale metodo di lotta politica»: si pensi alla organizzazione in passato della Guardia nazionale padana, organizzazione paramilitare di cui era reclutatore l’attuale ministro degli Interni, e delle Camicie verdi a lungo indagate dai magistrati di Verona. O si pensi alle aggressioni, organizzate e vantate, contro i campi rom a Treviso e Opera; alle ronde fai da te, poi istituzionalizzate (e anestetizzate).
Ma tutta la politica sull’immigrazione è un intreccio di minaccia e uso della violenza, di istigazione all’odio razziale, di propaganda razzista, xenofoba, antislamica e chi più ne ha più ne metta. C’è solo l’imbarazzo della scelta, delle citazioni o delle iniziative, fino alle ultime dichiarazioni di Borghezio, dopo la strage di Oslo. Mi limito a tre esempi eclatanti, vantati dal ministro degli Interni Maroni che ne è l’autore: la raccolta delle impronte digitali per i minori rom nel 2009; i respingimenti in mare dei profughi, fatti passare per clandestini, dal maggio 2010; la detenzione preventiva, per persone che non hanno commesso reati, passata da due a sei mesi nel 2009 e poi a 18 mesi nel 2011. Misura quest’ultima che la normativa europea prevede, ma solo in casi eccezionali.
Vergognose complicità
Di fronte a questo quadro tanto più vergognoso appare il comportamento delle forze politiche che si dicono “democratiche” o di sinistra.
Dopo aver sottovalutato per decenni il leghismo, declassandolo a innocuo folclore; aver consentito a Bossi e i suoi di degradare la politica a rutto da osteria e aver evitato di condurre una azione sistematica di denuncia e di contrasto sul territorio, i partiti della sinistra, presenti in parlamento o meno,e i sindacati dei lavoratori, restano totalmente inerti di fronte al crescendo di provocazioni della Lega. Pensiamo solo al silenzio in cui sono caduti la critica dello stesso Napolitano al trasferimento dei ministeri al Nord e la triviale risposta che gli ha dato l’ubriaco di Gemonio; o l’indifferenza di fronte alla criminale estensione della detenzione nei CIE decisa da Maroni, funereo impresario dei respingimenti in mare.
Ci si limita a ravvisare in tutto questo i segni, indubbi, delle difficoltà del leghismo. Non si considera il pericolo che proprio queste difficoltà spingano la Lega a gesti estremi e pericolosi. Anche Mussolini era in difficoltà dopo il delitto Matteotti: lasciargli “superare la nottata” significò lasciargli instaurare la dittatura.
Tutti, a partire dall’impagabile Bersani, fanno i conticini sui vantaggi di bottega che potrebbero  ricavare a blandire la bestia (magari facendo da sponda a un governo Maroni), senza capire quanto sia dissennato non bastonare il cane che affoga. Per salvare la democrazia.

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